Nel mio lavoro e nel mio percorso di formazione cerco di integrare modelli e tecniche provenienti da approcci alla psicoterapia diversi tra loro, perché credo che la complessità dell’individuo possa essere compresa soltanto attraverso uno sguardo aperto che si avvale di più punti di vista e strumenti. Tuttavia, il mio punto di partenza nell’appassionante viaggio dell’essere terapeuta è stato l’approccio sistemico-relazionale ad orientamento psicodinamico, il quale costituisce tuttora la mia lente principale di osservazione.
Considero la persona all’interno delle sue relazioni significative senza perdere di vista l’importanza del mondo interno: emozioni, desideri, vissuti inconsci, esperienze passate che continuano ad agire nel presente.
L’individuo porta con sé una storia familiare che si trasmette nel tempo attraverso modelli relazionali, miti, segreti e lealtà invisibili. Pertanto comprendere il funzionamento di un individuo richiede attenzione anche alla dimensione transgenerazionale.
Attraverso la psicoterapia l’individuo ha l’opportunità di ricucire i frammenti della propria storia, intrecciandoli con nuovi significati, nuove narrazioni e una rinnovata immagine di sé e dell’altro.
Intendo la psicoterapia dunque come un processo evolutivo, attraverso cui incuriosire l’altro a crescere, ad attivare le sue risorse interiori. Si tratta di un percorso condiviso, in cui accompagno la persona a comprendere meglio ciò che vive e a dare nuovo senso a ciò che sta attraversando.
La condizione psicopatologica rappresenta quindi un punto di arresto ma anche l’occasione per riprendere il proprio cammino di crescita.
In questa prospettiva, il sintomo non è qualcosa da combattere o cancellare, ma un messaggero che porta con sé un significato. Il compito della terapia non è farlo sparire in fretta, ma ascoltarlo, capirne il senso e la funzione. Solo così il sintomo può risolversi spontaneamente, perché non ha più bisogno di esprimere un disagio che finora non ha trovato altre parole.
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